All’Italia serve una scuola democratica

Picture2 Di Carlo NaddeoUntitled

  Alla politica spetta il compito di  migliorarla e non di distruggerla.

La riforma della scuola fortemente voluta dal governo Renzi impone, purtroppo, un modello aziendale e manageriale alla scuola pubblica italiana. Ciò si evince con chiarezza dal fatto che termini come “concorrenza” e “competizione” sono ormai entrati nel linguaggio comune anche parlando di scuola. Ma la competizione e la concorrenza tra gli insegnanti e tra le scuole sono quanto di più lontano ci sia dall’insegnamento, inteso nel senso più autentico del termine.

Per favorire l’azione didattica, in una scuola è fondamentale che regni l’armonia, il confronto e la collaborazione tra gli insegnanti, cose che difficilmente potranno esistere se i docenti saranno in competizione tra loro e se vedranno nei colleghi degli avversari con cui contendersi i favori del dirigente-padrone: una vera assurdità!

Ricordiamoci che nella vita e nella società non tutto è mercato, che la scuola non è un’azienda e che i risultati dell’insegnamento non sono prodotti commerciali. Ma alcuni non la pensano così e la vedono proprio come un’azienda guidata da un manager. Ecco il senso del rafforzamento dei dirigenti scolastici che, con la riforma di Renzi, potranno definire il piano triennale dell’offerta formativa (cioè decidere cosa produrre), scegliere i docenti da assumere (cioè diventare i padroni che decidono chi assumere), premiare i “migliori” (cioè consolidare il loro aspetto padronale con incentivi economici decisi da loro). Va da sé che una scuola così è la negazione della scuola pubblica.

E’ di questo scuola che l’Italia ha bisogno? Vogliamo davvero che le scuole pubbliche possano diventare scuole a immagine e somiglianza del loro dirigente scolastico? Vogliamo davvero che si rischi di arrivare ad assumere gli “amici” e gli “amici degli amici”, introducendo il nepotismo, il malaffare e la corruzione nella scuola, uno dei pochi settori finora indenni nello sfacelo morale dei nostri anni? Questo è un rischio concreto, se il manager può assumere chi ritiene più “adatto”!

Per evitare ciò è necessario che intervenga la politica (quella buona) cui spetta il compito di migliorare la scuola, non di distruggerla. Una politica che si impegni affinchè la scuola diventi  un’autentica comunità democratica della cultura. Anche attraverso la riforma della dirigenza delle istituzioni scolastiche abolendo, ad esempio, la figura del dirigente scolastico di nomina amministrativa (che si vorrebbe come un manager-padrone) e istituendo il ruolo del “Preside eletto” dalla comunità scolastica, ovvero l’elezione di un docente primus inter pares (primo tra i pari) responsabile della didattica.

Un Preside eletto che non dovrà essere un manager-padrone ma il riferimento e il responsabile della attuazione delle scelte didattiche operate democraticamente da tutti coloro che operano nella scuola che diverrà, così, un modello vivente di democrazia partecipata, con insegnanti liberi e in grado quindi di insegnare il valore della libertà e non degli “yes-man”, come altri vorrebbero.

Questa è la vera sfida! Alla politica spetta il compito di portare la scuola italiana verso questa nuova realtà! Ai partiti spetta il compito di proporre idee alternative del sistema scolastico pubblico per ridare slancio e vigore ai valori della cultura sia nella scuola che nella società!

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