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Il sabato del villaggio: storia, cronaca, usi e costumi di Pontecagnano Faiano (VI)

LA STORIA DEGLI ETRUSCHI DI FRONTIERA IN QUATTRO PARTI

A cura di Francesco Longo

Parte seconda

Questo popolo di artigiani, di ingegneri e di commercianti amava la bella vita. Gli uomini si vestivano con la toga, che poi diventerà il look obbligato dei vip romani; e portavano anelli, bracciali, collane e perfino gioielli intrecciati alla barba; si compiacevano dei loro frequenti e sontuosi banchetti, cui invitavano amici e potenti; erano appassionati di sport: frequentavano assiduamente gli incontri di boxe, i giochi dei gladiatori, le gare di lancio del disco e del giavellotto ed anche una specie di corrida. Le donne godevano di una notevole libertà: eleganti, colte e raffinate partecipavano con i mariti ai banchetti, dove conversavano, suonavano il flauto e danzavano;(ciò era inconcepibile presso i Greci ed i Romani che ne erano scandalizzati tanto da definirle prostitute: da loro, le sole donne ammesse erano le schiave e le cortigiane.) Le Etrusche avevano, in effetti, diritti quasi pari a quelli degli uomini: nelle famiglie aristocratiche più autorevoli, le donne potevano trasmettere il proprio cognome ed i propri beni per via ereditaria. Una tale emancipazione femminile non fu mai raggiunta in tutto il mondo antico occidentale.

Gli Etruschi hanno vissuto anche a Pontecagnano, dall’inizio alla fine della loro storia, e cioè dal nono secolo alla prima metà del terzo avanti Cristo.

Già nel nono secolo i primi Etruschi si stabilirono da noi. Provenivano dall’Etruria meridionale ed erano alla ricerca di terre da coltivare. Pontecagnano era l’ideale. Aveva una grande pianura fertile (allora non c’erano ancora le estese paludi che si formeranno nel primo millennio dopo Cristo, per un lento e progressivo sollevamento del suolo costiero); aveva le colline alle spalle; aveva il mare a breve distanza (gli Etruschi preferivano, per prudenza, non insediarsi nelle vicinanze del mare ma a debita distanza); il fiume Picentino era navigabile per alcuni chilometri; e soprattutto la nostra costa offriva un ricovero facile e sicuro per le imbarcazioni. Essa era molto diversa da come è oggi. Tra la foce del Picentino, dove gli Etruschi costruirono il porto e fino a quella dell’Asa c’erano alte dune; tra la foce dell’Asa e quella del Tusciano c’era una vasta e profonda laguna, che era un ottimo porto naturale. Oltre il Tusciano e fino alla foce del Sele, c’era un’altra laguna ancora più grande, quella dell’Arenosola.

(A proposito di nomi: Tusciano deriva da Tuscia, antico nome dell’Etruria; la Laguna Grande diventerà Lido Lago; la Laguna Piccola diventerà Picciola).


Fonti storiche:

Dizionario Enciclopedico Utet ediz.1936; Storia d’Italia di Indro Montanelli; “Museo Archeologico Nazionale di Pontecagnano” della Soprintendenza di Salerno Avellino Benevento; “Il parco eco-archeologico di Pontecagnano Faiano” di Le Fol Julie ed altri; “L’agro picentino e la necropoli di località Casella” di Teresa Cinquantaquattro (Istituto Orientale di Napoli); gli elaborati della Scuola Media Picentia negli anni scolastici 1996-97,1999-2000, 2000-01; “Appunti di studio” suggerimenti e supervisione del professore Giancarlo Bailo Modesti, dell’Università di Napoli

Il testo è stato redatto da Francesco Longo.

L’opera è dedicata alla memoria del professore Giancarlo Bailo Modesti.

Pontecagnano, maggio 2009

Il sabato del villaggio: storia, cronaca, usi e costumi di Pontecagnano Faiano (V)

LA STORIA DEGLI ETRUSCHI DI FRONTIERA IN QUATTRO PARTI

A cura di Francesco Longo

Parte prima

Nell’aprile del 2007 è stato inaugurato il Museo Archeologico Nazionale di Pontecagnano. È un edificio a tre piani, sito in via Lucania, che comprende, oltre alle sale da esposizione, anche un auditorium da duecento posti, una biblioteca, un laboratorio di restauro ed uno fotografico. Questo museo rappresenta il punto di arrivo di una serie di ricerche iniziate più di quaranta anni fa.

Alla fine degli anni Cinquanta, a Pontecagnano, superate le ferite del dopoguerra, si costruivano sempre più abitazioni nuove. Durante alcuni lavori di scavo spuntarono dal terreno, per puro caso, alcuni reperti di valore archeologico.

Fu così che nel 1962 la Soprintendenza di Salerno, in seguito affiancata dagli archeologi dell’Università di Napoli, iniziò una lunga e paziente ricerca che ha portato finora alla luce più di novemila tombe. Il risultato è che adesso sappiamo della  nostra storia due cose in più: la prima è che Pontecagnano, nella Preistoria, e cioè circa seimila anni fa, era già abitata (e lo è sempre stata fino alla caduta dell’Impero Romano e cioè fino al 476 dopo Cristo, inizio del Medio-Evo); la seconda, ancora più interessante, è che  Pontecagnano, circa duemilasettecento anni fa era, insieme a Capua, una delle due città etrusche più importanti a sud della madre patria Etruria (Toscana ed alto Lazio).E poco dopo la nascita di Roma (anno 753 avanti Cristo), qui da noi c’era una città già grande, popolosa e ricca, quasi all’apice della sua potenza, che aveva scambi commerciali con tutti gli altri popoli del Mediterraneo e cioè con tutto il mondo civile di allora.

 La storia degli Etruschi, vissuti dall’850 (circa) al 250 (circa) avanti Cristo, presenta ancora oggi molti misteri: non si sa precisamente da dove provenissero, né se ne conosce bene la lingua. Essi si stabilirono in Toscana e nel nord del Lazio (dall’Arno fino al Tevere); poi occuparono parte dell’Umbria, dell’Emilia-Romagna e della Liguria; a sud si spinsero fino alla nostra piana, dove presero contatto con gli “stranieri” e cioè quei Greci che erano venuti a colonizzare le coste del sud-Italia. Gli Etruschi, anche se non si organizzarono mai in una vera e propria nazione, furono per alcuni secoli i padroni assoluti del mar Tirreno. Disponevano, infatti, di una formidabile flotta armata. E con essa riuscirono a raggiungere una supremazia economico-commerciale, durata più di quattrocento anni.

Gli Etruschi furono ottimi artigiani. L’Etruria era ricca di ferro (metallo di capitale importanza nell’Età del Ferro); né mancava il rame e lo stagno, necessario quest’ultimo per la fabbricazione del bronzo. Essi furono maestri nella lavorazione dei metalli; oltre ai tanti utensili domestici, agli arnesi da lavoro, agli strumenti musicali, alle armi, ai gioielli in oro ed argento, ci hanno lasciato traccia di una avanzata tecnica odontoiatrica: applicavano ganci e ponti metallici per rudimentali protesi dentarie. Anche la loro ingegneria fu eccellente: eressero poderose mura di cinta a difesa di alcune città; costruirono per primi l’arco a volta, poco utilizzato dai Greci e poi perfezionato dai Romani; realizzarono ponti e tracciarono strade per una rete viaria, in parte ripresa e sviluppata dai Romani in alcune delle famose grandi vie consolari; bonificarono paludi e crearono canali irrigui; dotarono le loro città più importanti di acquedotti e fognature; impiantarono cantieri navali, da cui vararono le numerose e robuste navi della loro invidiabile flotta.

E furono mercanti intraprendenti e smaliziati, capaci di organizzare una fitta rete commerciale “internazionale”, tramite la quale ebbero scambi con i Galli, i Sardi, i Siculi, i Fenici, i Greci e le genti dell’Asia Minore e cioè tutti i popoli civili dell’area mediterranea pre-cristiana.


Fonti storiche:

Dizionario Enciclopedico Utet ediz.1936; Storia d’Italia di Indro Montanelli; “Museo Archeologico Nazionale di Pontecagnano” della Soprintendenza di Salerno Avellino Benevento; “Il parco eco-archeologico di Pontecagnano Faiano” di Le Fol Julie ed altri; “L’agro picentino e la necropoli di località Casella” di Teresa Cinquantaquattro (Istituto Orientale di Napoli); gli elaborati della Scuola Media Picentia negli anni scolastici 1996-97,1999-2000, 2000-01; “Appunti di studio” suggerimenti e supervisione del professore Giancarlo Bailo Modesti, dell’Università di Napoli

Il testo è stato redatto da Francesco Longo.

L’opera è dedicata alla memoria del professore Giancarlo Bailo Modesti.

Pontecagnano, maggio 2009

Il sabato del villaggio: storia, cronaca, usi e costumi di Pontecagnano Faiano (IV)

LA STORIA DI PONTECAGNANO E FAIANO IN QUATTRO PARTI

A cura di Francesco Longo

Parte quarta

Il periodo contemporaneo (dal 1815 al 1911)

Tra la fine del 1700 e la metà del 1800, la comunità faianese, sempre più attiva e produttiva, aveva cambiato l’aspetto del territorio e trasformato la sua agricoltura da feudale in moderna. La masseria   era diventata il simbolo di tale trasformazione; essa era il centro propulsore di una attività articolata che dava lavoro a numerose famiglie. L’edificio comprendeva abitazioni e strutture di servizio.  Era l’alloggio per il padrone (il massaro) ed i suoi dipendenti, ma anche deposito di merci, cantina, stalla, ricovero per gli attrezzi, i carri e le carrozze; luogo centrale di riunione era l’aia antistante. Idealmente la masseria aveva ereditato la funzione della corte feudale. Vi si produceva grano, granone, olio, vino, frutta, ortaggi ed anche riso, canapa e lino. Lungo la collina di Faiano, vaste aree di terreno, già chiuse a “difesa” per il pascolo, erano state convertite a colture specializzate per ulivo, vite, arance, noci, mele ed ortaggi. Era prospero l’allevamento di bovini, suini, ovini ed anche quel- lo del baco da seta. C’era lavoro non solo per i braccianti agricoli, ma anche per i conduttori di aratro, i guardiani di mandrie, i lavoranti dell’olio e del vino, i filatori del cotone e della lana; ed anche per i mediatori ed i commercianti. Ben presto a questo esercito di lavoratori non bastò più il territorio di Faiano; essi allora volsero la loro attenzione alla piana di Cagnano, ancora paludosa e semideserta. A quell’epoca, lì esistevano solo alcune case sparse, più la caserma dei gendarmi a ridosso del ponte e qualche cantina e taverna lungo la strada regia (l’attuale statale 18). A Cagnano le sole attività erano, oltre alla ristorazione (vitto e alloggio per i pochi passanti), la coltivazione del riso e l’allevamento delle bufale.

Dopo la riconquista del trono, il governo borbonico decise la bonifica della piana, “per recuperare quei terreni condannati a produrre melme, miasmi, contagio e morte”. Iniziò così una gigantesca opera di trasformazione che coinvolse molti pionieri faianesi ed anche “forestieri” per realizzare i ca-nali e colmare le paludi. Progressivamente numerosi acquitrini vennero colmati, gli allevamenti bra- di vennero allontanati verso la marina e furono impiantati i primi frutteti: gelsi, noci ed agrumi. Ed a Cagnano cominciava a formarsi un centro abitato. Nel 1820 il governo borbonico aveva istituto il comune di Montecorvino Pugliano, distaccandolo da quello di Rovella. Comprendeva quattro fra- zioni: Pugliano, S. Tecla, Faiano e Cagnano. Gli abitanti di Faiano e Cagnano erano complessiva- mente quasi trecentosessanta. Nei decenni successivi, aumentando con la bonifica i residenti di Cagnano, lì fu costruita la chiesa dell’Immacolata (1849). Nel 1858 gli abitanti di Faiano e Cagnano erano diventati circa duemilacinquecento; ed era sempre più massiccio quel movimento migratorio a  ritroso dai monti Picentini verso la pianura.

Nel 1861 il Regno d’Italia inglobò quello delle Due Sicilie e soppresse definitivamente gli ordina- menti feudali; confiscò i beni della parrocchia di San Benedetto, compreso il convento, e li vendette ai privati. Nella seconda metà del 1800 la piana di Pontecagnano, sempre più fertile e popolosa, prosperava vertiginosamente “al benefico fischio del treno” (Nel 1873 era stata inaugurata la linea ferrata Salerno-Eboli). Nelle frazioni di Faiano e Pontecagnano furono istituiti due uffici postali e l’ufficio della conciliazione; nel 1903 la stazione ferroviaria e nel 1906 il consorzio delle acque. Ai primi del 1900 gli abitanti erano diventati circa seimila, il doppio di quelli delle frazioni “alte” di S. Tecla e Pugliano. E bisognava recarsi al capoluogo, cioè a Pugliano, per vari motivi burocratici: de-

nunziare nascite e morti, contrarre il matrimonio civile (che allora era distinto da quello religioso), pagare le tasse; ma a quell’epoca non erano pochi i circa dieci chilometri di strada, non asfaltata, da   percorrere a piedi o su carretti (i più fortunati su carrozza). Per di più, in consiglio comunale, le fra-

zioni “alte” avevano lo stesso numero di consiglieri di quelle “basse”, e cioè dieci (distinti in cinque per Faiano e cinque per Pontecagnano). Dunque non era più possibile convivere nello stesso comune. Nel 1907 nacque un comitato civico “pro Pontecagnano Faiano comune autonomo”, cioè distaccato da Montecorvino Pugliano. Era presieduto dall’avvocato Amedeo Moscati. Il motto del comitato era “Durantes vincunt”. Il 18 giugno 1911 il re Vittorio Emanuele III di Savoia decretò la costituzione in Comune autonomo delle frazioni di Pontecagnano e Faiano.

Il sabato del villaggio: storia, cronaca, usi e costumi di Pontecagnano Faiano (III)

LA STORIA DI PONTECAGNANO E FAIANO IN QUATTRO PARTI

A cura di Francesco Longo

Parte terza

Il periodo moderno (1492 – 1815)

Verso la metà del 1500 il feudo di Faiano risultava così costituito. Era delimitato a nord dalla Montagna della Foresta; ad est dal torrente Asa; ad ovest dal fiume Picentino e dal vallone Siscaritolo; a sud dal mare. C’erano le sorgenti Frestola e Formola. Per l’abbondanza di acque e di selve il feudo risultava ricco di cacciagione nobile: cinghiali, starne e pernici; c’erano anche i lupi. Il territorio era attraversato dalla strada regia, che conduceva da Cagnano verso Eboli (l’attuale statale 18), dalla strada della Scontrafata; da quella che portava al casale Santa Tecla e da quella che attraversava la foresta a nord. Comprendeva, oltre Faiano, la contrada Lamia, nei pressi del ponte, e le seguenti al- tre località: Iscacupa, Viscito, Pontirotti, Paternostro, Scontrafata, Selce, Stradella, Filetto, Licenuso, Gaudo,  Frestola, Palma, Doricato, Vicenza, Siscaritolo, Pratello, Prato, Sardone, Acquara, Limiti, Tofara, Difesa pozzi, Molino, Acqua bianca, Vignavetere, Carpinelli e Sferracavallo, tutte a nord della strada regia; a sud c’erano: Taverna  Penta, Tavernulo, Forcella, Asa, Matina, Macchia- secca, Ponticello, Auteta e Denteferro. Nel feudo esistevano, oltre alla Badia di San Giuliano, altre otto chiese e diverse cappelle gentilizie. Dagli inizi del 1600 e fino alla metà circa del 1700, numerose concessioni e subconcessioni consentirono a molti coltivatori di Faiano di praticare un’agricoltura intensiva, favoriti in ciò dal regime ecclesiastico e cioè dall’assenza di un’autorità baronale, di solito opprimente e vessatoria. Nelle zone più alte del feudo, fitti castagneti e querceti erano l’ideale per ottimi allevamenti di maiali; più in basso, si estendevano vasti vigneti ed uliveti; era diffusa la coltura del gelso, che sosteneva l’allevamento del baco da seta; nelle zone più irrigue si coltivava il lino, la canapa, la robbia, il riso, il grano, la segale e l’orzo. Nella piana paludosa si alleva- vano le bufale. Lungo la collina erano attivi i mulini (‘e machine); nel feudo c’erano anche forni per fabbricare tegole e mattoni. Di fatto il latifondo faianese si andava frazionando, gestito da coltiva- tori-imprenditori. Durante tutto il 1700 la classe dei terrieri, legata al fondo perché vi risiedeva e vi lavorava insieme ai contadini, diventò la vera protagonista economica e sociale di quel feudo (mentre in gran parte del Meridione, la vecchia nobiltà agraria, che spesso risiedeva in città, vendeva i propri terreni ed a volte   perfino i titoli).

Sul finire del 1700 Ferdinando I di Borbone (1751-1825) inglobò il feudo di Faiano nel fisco regio; e la chiesa di San Giuliano divenne parrocchia, col titolo di San Benedetto. Durante il governo francese (1806-1815), con l’abolizione delle leggi feudali, il feudo di Faiano fu soppresso e venne incamerato nel Comune di Montecorvino Rovella; così la parrocchia di San Benedetto venne privata delle sue rendite. Alla ripresa del trono, nel 1815, Ferdinando I di Borbone restituì solo alcuni privilegi alla parrocchia di San Benedetto. Ma intanto a Faiano era iniziata l’epoca delle masserie.

Il sabato del villaggio: storia, cronaca, usi e costumi di Pontecagnano Faiano (II)

LA STORIA DI PONTECAGNANO E FAIANO IN QUATTRO PARTI

A cura di Francesco Longo

Parte seconda

Il periodo medievale (476 – 1492)

Alla caduta dell’Impero romano (quinto secolo dopo Cristo) Picentia fu attraversata dalle orde barbariche dei Visigoti nel 410 e poi dei Vandali nel 456. A tali eventi sconvolgenti fecero seguito le terribili incursioni dei pirati saraceni che, fra il nono e l’undicesimo secolo, terrorizzarono le coste del Mediterraneo: aggredivano villaggi e città per rapire uomini, donne e bambini che trasportavano oltremare e li vendevano come schiavi. Perciò, dal quinto secolo in poi, i Picentini progressivamente abbandonarono la piana e si spostarono sulle colline vicine. (Per di più, nei secoli successi- vi, la ridotta attività boschiva e la mancata manutenzione dei corsi d’acqua lasciarono defluire a valle enormi quantità di detriti franosi, che si accumularono sul suolo costiero, determinandone un lento e costante innalzamento. Ciò trasformò le terre a sud dell’attuale strada ferrata in una immensa palude, regno di zanzare e di malaria. Da tale condizione risorgerà dopo circa mille anni, con la rudimentale bonifica borbonica prima e poi con quella integrale del 1900, conclusasi solo settanta anni fa). Nel corso dei quattrocento anni della dominazione longobarda (630–1077) i Picentini si insediarono stabilmente sulle colline del Picentino e delle zone confinanti. Costruirono casali e castelli; coltivavano il grano, la vite, l’ulivo e, intorno ai corsi d’acqua, anche il riso. I castelli ed i casali, nel loro insieme, erano un sistema integrato; i castelli di San Cipriano, Giffoni, e Montecorvino proteggevano i casali circostanti che, riuniti per unità territoriali, formavano dei comuni feudali. Questa struttura feudale fu conservata durante tutto il periodo Normanno (1077-1194) e quello Svevo (1194-1266). Nel tredicesimo secolo Giffoni era sede di contea con tre comuni distinti: Valle e Piano, Sei casali e Gauro; San Cipriano era una baronia a sé; Montecorvino un comune. E Faiano costituiva un comune autonomo, essendo feudo ecclesiastico. Fin dall’epoca romana, Faiano è stato centro di profonda tradizione religiosa. Lo testimoniano il suo nome, che deriverebbe da “Fanum Iani” cioè tempio di Giano e le sue antiche chiese. Quella di San Vincenzo, in cui nel nono secolo vissero e morirono i santi vescovi Quirino e Guingenzio; e quella della Santissima Trinità, detta del Padreterno, in cui si trovano i resti dell’affresco bizantino del Cristo Pantocrator, fatta costruire dal principe longobardo Gisulfo, nell’anno 1000 circa. Nel 1167 il territorio di Faiano, già istituito feudo ecclesiastico, fu affidato da Guglielmo II (normanno) al Monastero di San Benedetto di Salerno, insieme al castello di Montecorvino con tutte le sue dipendenze. (Nel pe- riodo medievale i feudi erano possedimenti del sovrano, che concedeva a beneficiari, laici o ecclesiastici, la giurisdizione civile, penale e fiscale; d’altra parte i beneficiati, compresi gli abati, assicuravano al sovrano la fedeltà dei sudditi). I Faianesi, dunque, avevano l’obbligo di lavorare i campi, il cui raccolto andava al monastero benedettino di Salerno e, in subordine, all’abate di Faiano. Nel   tredicesimo secolo Faiano aveva assunto il ruolo di “capoluogo” della zona meridionale della valle del Picentino, compresa la pianura abbandonata ed inospitale.

Dalla dominazione Sveva (1194-1266) a quella Angioina (1266-1442) a quella Aragonese (1442-1503) a quella del Vice regno spagnolo (1503-1707) ed infine a quella dei Borboni (1734-1861), i vari sovrani confermarono la concessione del feudo di Faiano al Monastero benedettino di Salerno (con l’eccezione degli ultimi cinquant’anni circa del regno borbonico). Nella seconda metà del 1400 venne istituita la Badiale Corte di Faiano, importante istituzione feudale per l’esercizio diretto della giurisdizione. Poco tempo dopo fu edificata a Faiano, accanto al Monastero, la nuova chiesa badiale di San Giuliano, al posto di quella antica della Santissima Trinità (del Padreterno).

I tempi difficili creano uomini forti …

Hanno intervistato il fondatore di Dubai, Sheikh Rashid, sul futuro del suo paese, lui ha risposto:′

′ Mio nonno camminava con il cammello, mio padre camminava con il cammello, io cammino in Mercedes, mio figlio va in Land Rover, e mio nipote andrà in giro in Land Rover, ma al mio bisnipote gli toccherà tornare a camminare con il cammello……”

Perché′′ I tempi difficili creano uomini forti, gli uomini forti creano tempi facili. I tempi facili creano uomini deboli, gli uomini deboli creano tempi difficili.”Molti non capiranno, ma bisogna crescere guerrieri, non parassiti…”

[la città di Dubai utilizza energia esclusivamente da fonti rinnovabili]

Il sabato del villaggio: storia, cronaca, usi e costumi di Pontecagnano Faiano (I)

LA STORIA DI PONTECAGNANO E FAIANO IN QUATTRO PARTI

A cura di Francesco Longo

Parte prima

Il periodo antico (3.000 avanti Cristo, circa – 476 dopo Cristo)

La nostra storia inizia circa 2.800 anni fa, quando un gruppo di Etruschi provenienti dalla Toscana e dall’alto Lazio si stabilì nel nostro territorio. Gli Etruschi erano un popolo di esperti navigatori (furono padroni assoluti del mar Tirreno, dal nono al quarto secolo avanti Cristo) ma anche di bravi artigiani, di validi ingegneri e di smaliziati commercianti. La nostra piana era fertile, riparata a nord dalle colline; la costa (molto diversa da quella di oggi) presentava alte dune e profonde lagune, ottime per l’approdo delle imbarcazioni. Allora il fiume Picentino era navigabile per alcuni chilometri; alla sua foce gli Etruschi costruirono il porto. Come era nella loro tradizione, si insediarono a distanza dal mare, esattamente dove è oggi il nostro centro storico e cioè fra l’attuale strada statale 18 e la autostrada. Nel suo primo secolo di vita, quella comunità di frontiera (era la più a sud dalla madre-patria) si dedicò all’agricoltura, all’allevamento, all’artigianato ed al commercio. Scambiava i suoi prodotti con le genti italiche dell’interno, risalendo i fiumi Picentino, Tusciano e Sele. Ma nel corso dei due secoli successivi, quel piccolo villaggio si trasformò progressivamente in una grande e ricca città: Pikèntia Amìnaia. I nostri, nel frattempo, avevano incrementato e migliorato l’agricoltura, l’allevamento, la produzione artigianale (dei metalli, del legno, dei tessuti e della ceramica); avevano potenziato la flotta ed il porto. E quando i Greci si stabilirono ad Ischia ed a Cuma, gli Etruschi cominciarono a commerciare con loro e svilupparono vertiginosamente i propri scambi. Che non avvenivano più solo con gli italici dell’entroterra o con i “connazionali” dell’Etruria-madre, ma con tutti i popoli del Mediterraneo orientale: Grecia, Egitto, Siria ed Asia minore. Circa 2.600 anni fa, Pikèntia Amìnaia era una florida città-mercato, un vero emporio internazionale. Vi si potevano acquistare i prodotti etruschi locali e tosco-laziali (utensili domestici, arnesi da lavoro, vasellame, strumenti musicali, armi e gioielli) nonché i prodotti del vicino e montuoso entroterra italico (lana, formaggi, carni e legname); ma anche dei raffinati prodotti esotici (ceramiche di Atene e di Corinto; vasellame, arnesi ed arredi in bronzo, argento ed oro greci e siriani; avori, pendagli e collane di ambra, scarabei ed altri amuleti egiziani; unguenti e profumi fenici). In quella prestigiosa ed opulenta città, la comunità originaria, cresciuta di numero, aveva assunto una nuova articolazione sociale; oltre agli agricoltori, agli allevatori ed agli artigiani, ora c’erano i guerrieri ed i grandi commercianti. Al vertice della gerarchia sociale c’erano ricche e potenti famiglie aristocratiche, da cui proveniva il gruppo dei prìncipi, veri capi politici, religiosi e militari, che nulla avevano da invidiare ai pari-grado delle altre e più note città dell’Etruria madre (Vetulonia, Vulci, Cerveteri, Tarquinia e Veio). Allora Pikèntia, insieme a Capua, era il centro etrusco più importante nella Campania. Ma alla fine del settimo secolo a.C. i Greci si insediarono a Paestum e cominciarono a disturbare il commercio marittimo dei nostri. Così iniziò il lento declino della Pontecagnano etrusca. In quel periodo furono costruiti a Pikèntia due santuari: uno dedicato ad Apollo, nella zona dell’attuale via Verdi; ed uno dedicato a Demetra, nella zona tra via Picentino e l’autostrada. Dopo circa un secolo, altri Greci, di Siracusa, sconfissero la flotta etrusca a Cuma (era la flotta di tutti gli Etruschi, quelli della Toscana, del Lazio e della Campania) e fondarono Napoli. Così gli Etruschi persero il dominio del mar Tirreno e quindi il loro potere militare e commerciale. Anche Pikèntia Amìnaia decadde. Durante il quinto secolo avanti Cristo i Sanniti la invasero, senza distruggerla. Agli inizi del terzo secolo avanti Cristo, giunsero nella nostra piana i Romani che travolsero tutti: Sanniti, Greci ed Etruschi.

Nel 268 avanti Cristo Pikèntia Amìnaia, dopo circa cinque secoli, cessava di esistere; al suo posto nasceva la romana Picentia. In quell’anno i Romani vi deportarono i Piceni ribelli (dalle Marche), facendone di fatto una colonia penale. Circa cinquanta anni dopo, di nuovo intervennero a Picentia e la punirono duramente, perché aveva dato sostegno ad Annibale, il nemico mortale di Roma. Nel 198 avanti Cristo i Romani insediarono alla foce dell’Irno un potente presidio militare, fortificato, per controllare da vicino l’indocile Picentia; fu così che nacque Salerno. Circa cento anni dopo, nell’89 avanti Cristo, durante la Guerra Sociale, l’esercito romano si abbatté nuovamente su Picentia e la mise a ferro e fuoco, perché essa ancora una volta era stata dalla parte dei rivoltosi. Del peri- odo romano della nostra comunità non sappiamo molto di più, se non che il termine “Picentia” arrivò ad indicare l’intero territorio dell’attuale provincia di Salerno.

2021 ANNO 20 NUMERO 1

2020 ANNO 13 (+7) NUMERO 2

2020 anno 13° numero 1